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Obblighi di custodia e eliminazione giacenze.

Alcuni elementi di valutazione e di indirizzo nei casi di mancato ritiro dei capi.

Quali responsbilità o obblighi nel caso di prolungata giacenza di capi ed indumenti.

Nei casi in cui si verifichi una prolungata giacenza di capi ed indumenti presso l’impresa di tintolavanderia a causa del mancato ritiro da parte della clientela, possono nascere alcune questioni, spesso anche conflittuali, sulle responsabilità a carico dell’impresa, sugli obblighi di custodia e sull’eventuale possibilità di disfarsi delle giacenze non ritirate.

I precedenti giurisprudenziali e le notizie fuorvianti della Stampa.

Al fine di affrontare la materia risulta utile partire da alcune premesse concernenti una sentenza della Cassazione (n. 10519/99) resa su di una controversia concernente la nota questione della eventuale eliminazione degli abiti e dei capi non ritirati e lasciati in giacenza presso la tintolavanderia, la quale è stata riportata in modo improprio sulla stampa fornendo indicazioni erronee e provocando situazioni di incertezza e confusione che hanno creato, nei fatti, alcune convinzioni infondate sul giusto comportamento da seguire.

La questione era nata a seguito del comportamento adottato da un'impresa di tintolavanderia che, dopo avere atteso oltre sei mesi che il cliente ritirasse alcuni capi di abbigliamento da lavare e dopo aver sollecitato più volte il ritiro senza esito, se ne era disfatta; il cliente ha citato in giudizio la tintolavanderia per il risarcimento del danno subito; il Giudice di Pace ha ritenuto fondata la tesi della tintolavanderia ed ha rigettato la domanda del cliente; successivamente anche la Cassazione ha rigettato l'ulteriore ricorso del cliente.

A questo punto è stato pubblicato un articolo sul Corriere della Sera del 27/10/’99, dal titolo: "La sentenza conferma una decisione del Giudice di Pace: nessun indennizzo per chi dimentica i vestiti. Al macero gli abiti non ritirati. La Cassazione: dopo un mese di "giacenza" le tintorie possono buttarli via ".

In quell'articolo vengono riportate alcune affermazioni totalmente fuorvianti: infatti, si attribuiscono alla Cassazione le seguenti indicazioni del tutto prive di fondamento: "trascorso il termine previsto dalle norme comunali sugli usi civici, che vanno da uno a tre mesi dalla data di consegna scritta sullo scontrino, le tintorie possono disfarsi dei capi". Inoltre si sottolinea che la Corte ha "stabilito il seguente principio: se il legittimo proprietario non passa a ritirare i capi di vestiario entro un mese, tre nei casi migliori dove il regolamento è più morbido, il tintore, dopo averli smacchiati, sarà libero di buttarli nel secchio".

In realtà, la Cassazione non ha assolutamente affermato un principio simile a quello indicato e non ha mai ritenuto che, una volta trascorso il termine previsto dalle norme sugli usi, le tintorie abbiano la possibilità di disfarsi dei capi non ritirati. La Corte non è neppure entrata nel merito della contestazione né della sentenza impugnata del Giudice di Pace, ma si è semplicemente limitata a rigettare il ricorso del cliente in quanto la sentenza del Giudice di Pace era stata pronunciata secondo equità e tutte le censure presentate nel ricorso del cliente erano da considerarsi inammissibili.

In sostanza: le sentenze pronunciate obbligatoriamente secondo equità (come nei casi di controversie non eccedenti il valore di due milioni di lire, quale il caso di specie) "proprio in quanto tali, non possono commettere violazioni di Iegge e possono essere censurate solo per violazione di princìpi costituzionali o per violazione delle norme processuali”. Per cui gli eventuali "vizi di motivazione della sentenza pronunciata dal Giudice di Pace secondo equità non possono denunziarsi con ricorso per Cassazione. "

Come si può constatare la Corte di Cassazione non ha assolutamente confermato la sentenza del Giudice di Pace in quanto, per motivi propriamente processuali, e non potendo entrare nel merito della controversia, ogni valutazione su di una sentenza pronunciata obbligatoriamente secondo equità sarebbe stata preclusa al sindacato di legittimità della Corte.

Pertanto, va sottolineato che la sentenza della Cassazione contrariamente a quanto si era sommariamente ritenuto ad una prima superficiale lettura della sentenza non ha risolto in alcun modo la nota questione in esame relativa all'eliminazione dei capi non ritirati presso la tintolavanderia e non ha neppure fornito elementi di indirizzo o di interpretazione utili a risolvere il problema in esame.

Anzi, va rilevato che la questione in esame è stata ripresa ancora dalla Stampa ed anche dalla Televisione con valutazioni contraddittorie e discutibili che hanno sostanzialmente aumentato lo stato di incertezza e confusione. Dunque, volendo entrare nel merito, al fine di chiarire quali siano gli obblighi ed i diritti dell’impresa di tintolavanderia rispetto alla clientela, può risultare utile valutare la situazione alla luce delle diverse norme attualmente vigenti.

Obblighi di custodia e responsabilità della tintolavanderia.

Va precisato, in primo luogo, che quando la clientela porta alla tintolavanderia determinati capi per l'effettuazione dei relativi servizi (lavatura, pulitura, tintoria, stiratura, smacchiatura ed affini), oltre all'obbligazione principale, oggetto del contratto, la tintolavanderia stessa deve contestualmente assumersi anche l'obbligazione accessoria avente ad oggetto la custodia dei capi medesimi.

AI fine di stabilire tino a quando l'obbligo di custodia permanga in capo alla tintolavanderia e quale sia il relativo regime di responsabilità, occorre distinguere fra il periodo necessario per l'esecuzione del servizio di tintolavanderia, oggetto del contratto, e l’eventuale periodo successivo di giacenza dei capi non ritirati dal cliente.

Secondo l'orientamento della Giurisprudenza in materia, "nei casi in cui l'obbligazione di custodire ha natura meramente accessoria rispetto a quella dedotta in contratto (servizio di tintolavanderia), l'obbligo di custodia deve essere adempiuto, a termini della disposizione contenuta nell'art. 1177 cod. civ., secondo le regole stabilite per l 'adempimento delle obbligazioni in generale.

Ne consegue che la responsabilità del prestatore d'opera…..sussiste soltanto se tale obbligo non sia stato adempiuto per mancanza della diligenza del buon padre di famiglia, e cioè, solo se non siano state adottate quel complesso di cure, cautele e attività che il debitore medio impiega normalmente per soddisfare i propri obblighi" (Cass. 12/11/79, n. 5847).

Ciò significa che nei casi di deterioramento, distruzione, perdita o furto dei capi consegnati dal cliente alla tintolavanderia per la prestazione dei relativi servizi, la tintolavanderia stessa, al fine di sottrarsi alle proprie responsabilità nei confronti del cliente danneggiato, è tenuta a provare di avere usato nella custodia dei capi medesimi la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1768 cod. civ.) ed è tenuta a provare, altresì, che l'evento è stato imprevedibile o inevitabile: in sostanza, il primo presupposto per liberare la tintolavanderia dalla responsabilità inerente all'obbligo accessorio di custodia è la prova liberatoria che quell'evento si è verificato in conseguenza di un fatto ad essa non imputabile (art. 1218 cod. civ.) (in tal senso la giurisprudenza costante della Cassazione).

Le suddette indicazioni valgono per il periodo di tempo contrattualmente stabilito, necessario alla prestazione principale dei servizi di tintolavanderia. Successivamente alla scadenza del termine contrattualmente stabilito per la riconsegna dei capi al cliente, le responsabilità connesse all'obbligo di custodia si affievoliscono ad un grado minore.

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